Di Alessandro Garotta
Nella pallavolo, così come nella vita, il talento non basta se non supportato dalla giusta mentalità, necessariamente diretta ad accettare i propri limiti ed indispensabile per superarli e migliorarsi giorno dopo giorno. Determinazione, lavoro e grande spirito di sacrificio sono quindi gli elementi essenziali nella scalata verso la crescita ed il successo. E questi input di certo non sono mancati nel percorso di Maria Irene Ricci, palleggiatrice della CBF Balducci HR Macerata, arrivata a giocare in Serie A dopo una lunga gavetta nelle categorie inferiori.
Nell’intervista rilasciata a Volley NEWS, Ricci ha parlato del suo percorso pallavolistico soffermandosi, inoltre, sulle prospettive per la nuova stagione e su un progetto solidale in Tanzania che sta portando avanti con la sua famiglia.
Per iniziare, ci racconta chi è Maria Irene Ricci e cosa rappresenta per lei la pallavolo?
“Maria Irene è una ragazza di 26 anni che ha cominciato a giocare a pallavolo relativamente tardi (a 13 anni, ndr), ma una volta toccato il pallone poi non l’ha più lasciato: è stato un vero e proprio amore a prima vista. Da quel momento ho iniziato a sognare in grande, nonostante tutte le difficoltà che c’erano in una realtà abbastanza piccola come quella abruzzese. Ogni giorno ho provato a migliorarmi sempre di più, e così sono arrivata fino alla Serie A. Perciò, possiamo dire che la pallavolo rappresenta un aspetto fondamentale della mia vita. Tuttavia non è l’unico, visto che sono impegnata anche negli studi per diventare osteopata“.
Quali sono state le tappe principali del suo percorso pallavolistico?
“Nella mia carriera non ci sono tappe principali, nel senso che ogni stagione è stata fondamentale per arrivare dove sono oggi. Ho fatto tesoro di tutte le esperienze mettendole nel mio bagaglio di giocatrice: le annate più belle, i momenti più difficili, anche quelli in cui non ero più sicura di continuare il mio percorso sportivo. Se poi dovessi scegliere una stagione particolarmente importante, direi l’ultima a Macerata in cui abbiamo raggiunto il traguardo della promozione in Serie A1“.
Quanto è stata importante per lei la gavetta prima di arrivare in Serie A?
“Fare la gavetta da giovani è importantissimo perché ti aiuta ad arrivare dove hai sempre sognato. Se credi in quello che stai facendo e soprattutto credi che la gavetta ti sia utile, allora è necessario seguire un percorso a step che ti permette di cogliere opportunità sempre più grandi. In questo modo ho vissuto le varie tappe che mi hanno portato dove sono ora“.
Com’è stata la stagione della promozione della CBF Balducci HR Macerata? C’è stato un momento di svolta che vi ha dato l’opportunità di capire che si poteva fare qualcosa di importante?
“È stata una stagione fantastica. Come gruppo ci siamo amalgamate partita dopo partita, ma fin dall’inizio avevamo capito che c’era qualcosa di speciale tra di noi. Questo legame è diventato sempre più forte e concreto, e ci ha permesso di credere nel nostro obiettivo. Eravamo partite con l’intenzione di fare bene, anche se non so esattamente quando abbiamo capito dove saremmo potute arrivare. Forse quando la squadra ha iniziato a macinare vittorie e buone prestazioni ai Play Off. Ci abbiamo creduto fino in fondo e questo, secondo me, ha fatto la differenza“.
Se ripensa alla Finale Play-Off contro Mondovì, qual è la prima istantanea che le viene in mente?
“La prima cosa che mi viene in mente è il palazzetto stracolmo di persone vestite di arancione. Ho questa immagine impressa nella memoria, così come il punto finale messo a segno da Polina (Malik, ndr). È stata un’esplosione di gioia che ha reso tutto ancora più magico. Una serata veramente pazzesca“.
Macerata ha cambiato volto e pelle rispetto alla scorsa annata con solo quattro di voi riconfermate e tanti acquisti. Cosa ne pensa della nuova squadra?
“Rispetto alla scorsa stagione ci sono diversi innesti, tra cui nuove giocatrici straniere, dunque stiamo cercando di amalgamarci al meglio e trovare sin da subito la giusta mentalità e le giuste motivazioni dal momento che il nostro percorso non sarà privo di ostacoli. Ciò che mi sta piacendo maggiormente del nostro gruppo è che ogni giorno cerca di crescere e fare un passo in avanti in termini di determinazione. Speriamo che questa si riveli il nostro punto di forza e ci possa aiutare a raggiungere i nostri obiettivi“.
Quali sono i suoi obiettivi per questa stagione? E quelli di Macerata?
“I miei obiettivi principali sono di mettermi a totale disposizione della squadra, far bene ogni volta che verrò chiamata in causa e diventare un punto di riferimento per le mie compagne dentro e fuori dal campo. Per quanto riguarda Macerata, l’obiettivo è di centrare la salvezza ma chissà che con una grande motivazione non si riesca a raggiungere qualcosa di più grande. Comunque, l’importante sarà mettercela tutta credendo nella forza di un gruppo che può crescere durante la stagione“.
Suo fratello Giampaolo (cestista dell’Olimpia Milano e della nazionale) ha raccontato al portale “Overtime – Storie a spicchi” il legame speciale della famiglia Ricci con l’Africa. Le va di parlarci del vostro progetto in Tanzania?
“Quando parliamo del progetto in Africa tocchiamo un argomento che mi sta molto a cuore. I nostri genitori hanno portato me e i miei fratelli in quella realtà quando eravamo piccoli, instaurando dei legami che ci hanno permesso di tornare con il passare degli anni per dare un aiuto concreto alle popolazioni locali. L’attuale progetto prevede la costruzione di una scuola secondaria a Singida per permettere ai bambini del posto di rimanere lì a studiare senza dover andare lontano, e agli studenti che vengono da fuori di essere accolti in una struttura dotata di un dormitorio. È un progetto, realizzato in collaborazione con le Assumption Sisters (l’ordine di suore che gestirà la scuola, ndr), che si basa sulla sussistenza: l’obiettivo è di insegnare ai ragazzi come sopravvivere attraverso un allevamento di pesci e uno a terra. Comunque, i nostri progetti non si fermano qui. In precedenza, i miei genitori erano riusciti a costruire una scuola primaria e un dispensario. Tutto questo ci porterà ad avere un legame eterno con quel posto e quelle persone che abbiamo cercato di aiutare“.
Cosa l’ha colpita maggiormente nel suo ultimo viaggio in Africa? Com’è stato tornarci a distanza di 15 anni?
“Tornando in Africa dopo così tanto tempo, e soprattutto facendolo a 26 anni, cambia completamente la tua prospettiva e poni l’attenzione su nuovi dettagli. Per esempio, la bellezza dei luoghi e dei paesaggi, e la bellezza dei volti delle persone, che rispetto a noi hanno poco o niente ma comunque non smettono mai di sorridere, trasmettere serenità e desiderio di vivere con calma. Questa è una grande differenza rispetto a noi, abituati ad andare di fretta. Invece, loro mi hanno insegnato che non occorre sempre correre, ma rendersi conto della fortuna di ogni giorno. Questo stile di vita in lingua Swahili si dice ‘pole pole’ (piano piano, ndr) e, secondo me, trasmette un senso di rinascita“.
Nella bio di Instagram ha riportato una citazione di un celebre spot della Nike: “Don’t ask if your dreams are crazy, ask if they’re crazy enough” (Non chiederti se i tuoi sogni sono folli. Chiediti se lo sono abbastanza, ndr). Dunque, le chiedo: quali sono i suoi sogni e quanto sono folli?
“Sono tanti i miei sogni del cassetto. Tra questi c’era anche quello di arrivare a giocare in Serie A e posso dire di averlo realizzato. Ora punto ad andare oltre e inseguo un sogno ancora più grande per la mia carriera, ovvero crescere ulteriormente e togliermi altre soddisfazioni importanti. Poi vorrei portare a termine i miei studi e diventare un’osteopata; in particolare, mi piacerebbe occuparmi di pazienti pediatrici. Ho grandi sogni e progetti per quanto riguarda l’Africa, ma qui dovremmo aprire una lunghissima parentesi. E, in un futuro più o meno vicino, vorrei anche costruire una famiglia. Dunque, i miei sogni non sono pochi e direi che alcuni sono anche abbastanza folli. Però, sono convinta che con il sacrificio e i piedi sempre per terra qualcuno potrà realizzarsi“.