Massimo Eccheli e i piacevoli ricordi di un titolo Nazionale. Obiettivi e stimoli nella pallavolo giovanile moderna

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Di Paolo Frascarolo

La costanza e il lavoro nel volley lombardo, e la ciliegina sulla torta di Massimo Eccheli. Milanese, classe ’66, vanta un curriculum di grande esperienza sia nelle massime categorie, con la guida di Segrate in serie A2, che nelle giovanili, dove ha guidato le compagini più prestigiose. Nel 2016 l’inizio di una nuova avventura presso il Consorzio Vero Volley, con il compito di allestire un progetto giovanile di valore. Lo scorso 3 giugno, poi, la grande impresa. 

La Vero Volley Banco BPM Monza di Massimo Eccheli è campione d’Italia nella categoria U16 maschile: si tratta del primo successo ai campionati italiani della sua storia. Una straordinaria cavalcata di 9 vittorie di fila, l’ultimo sul campo del Pala Ruffini di Torino contro il Volley Treviso, con il 3-1 della finalissima. 

Abbiamo voluto intervistarlo per capire le sensazioni e le emozioni suscitate da questo successo, approfondendo le sue valutazioni sul movimento giovanile della pallavolo italiana. 

Quella dell’anno scorso è stata una cavalcata fondamentale. Quali sono state le tappe più importanti e i momenti più difficili?
“Credo sia assolutamente lecito considerare le nove partite giocate e vinte a Torino, durante la settimana delle Finali Nazionali U16, come un evento unico nella storia delle stesse, quella cavalcata, così come l’avete definita, ha sicuramente progressivamente elevato il livello di autostima nei ragazzi che, purtroppo, era stato pericolosamente minato dai passi falsi compiuti durante la Finale Territoriale e le Final Four Regionali. Ogni match è stato importante, data la struttura del torneo, ma vincere la primissima gara contro Trentino (una delle formazioni accreditate alla vittoria finale ma che, causa uno strano regolamento federale, doveva anch’essa passare dalle Forche Caudine delle qualifiche) è stato fondamentale per il nostro cammino. Il momento più complicato io lo identifico in gara 4, la prima della fase finale, contro una formazione marchigiana che ci ha messo in grandissima difficoltà, approfittando anche di un nostro fisiologico calo di tensione emotiva. Vincere quella partita è stato importantissimo per continuare ad inseguire il nostro sogno”.

Come ci si sente a vivere una nuova stagione sapendo di detenere il titolo?
“Non posso negare che, vincere il mio primo titolo nazionale a 52 anni, dopo esserci andato vicino in più di un’occasione, è stata una specie di liberazione per il sottoscritto, inoltre, vincerlo al e con il Consorzio è stato particolarmente affascinante per una serie di personali ed importantissime ragioni, ma in questo momento siamo tutti molto tesi e concentrati (dal presidente al sottoscritto, passando dal DT e dal DS) nel cercare di sviluppare i presupposti per rendere competitivo anche il nuovo team e far si che il maggior numero di atleti che lo costituiscono, possa in futuro raggiungere i più alti livelli possibili. Nell’attività giovanile, le squadre cambiano ad ogni stagione, quindi, detenere un titolo nazionale, regionale o territoriale che sia, purtroppo (o per fortuna) non determina assolutamente nulla, sarebbe solo un guaio vivere sugli allori”.

Quella moderna è sempre di più una pallavolo “fisica”. Si può dire lo stesso anche del settore giovanile?
“Per quanto fisica possa essere la pallavolo moderna, non potrà mai prescindere dalla tecnica che resta uno strumento fondamentale per esprimere anche le qualità atletiche di un giocatore. Nella pallavolo giovanile cresce di importanza con l’aumentare dell’età di un atleta. Fino ai 16 anni può non essere così determinante, entrando nella fascia under 18, le caratteristiche fisiche di una squadra iniziano a marcare differenze piuttosto importanti”.

Diversi suoi ex atleti ora sono protagonisti nella massima serie. Un vanto che la spinge a portare avanti con convinzione questo mestiere?
“Istituzioni e media e talvolta anche gli stessi atleti tendono a considerare molto poco il lavoro degli allenatori che si dedicano al giovanile (tranne in casi particolari, dove si creano quasi dei miti). Tempo fa ho avuto modo di leggere un report sulla Gazzetta dello Sport, nel quale si elencavano gli atleti che giocano in SuperLega, usciti dal Club Italia, tra questi era citato anche Piccinelli (libero di Perugia classe 1997), atleta che io ho allenato per 5 anni a Segrate (dai 13 ai 18 anni) forgiandolo e facendolo esordire giovanissimo in B (al pari di Riccardo Sbertoli). Un anno in Club Italia non può giustificare quanto citato sull’articolo. Questo è solo un piccolo esempio, l’ultimo di una serie che potrei raccontare, che fotografa molto bene quanto affermavo all’inizio della risposta. In realtà, il lavoro con i giovani è sempre molto faticoso, passa attraverso l’affrontare una serie di problematiche spesso complesse (per mia fortuna, al Consorzio questo lavoro coinvolge molte figure) e solo con grande motivazione e pazienza, è possibile garantire un buon risultato. La mia mission è sempre stata quella di aiutare ogni atleta a sviluppare gli strumenti migliori per giocare a volley, il risultato delle mie squadre, è sempre solo stato l’esito di questo mio atteggiamento. Chi ha raggiunto l’alto livello mi ha reso felice, ma le soddisfazioni più grandi me le hanno regalate quei ragazzi che, pur privi di talenti particolarmente spiccati, con l’impegno e la determinazione hanno raggiunto il massimo delle loro possibilità. La scorsa stagione questo è successo con Ferrari Leonardo, per esempio”.

La tecnologia e il passare del tempo. Perchè i ragazzi passano sempre meno tempo in palestra?
“Io non credo che i ragazzi passino meno tempo in palestra, ma sono sicuramente meno “affamati”, poco determinati e molto distratti rispetto ai giovani che allenavo agli inizi della mia carriera (se cosi vogliamo chiamarla). Noi adulti abbiamo qualche responsabilità, in tal senso”.

Più difficile raggiungere obiettivi imposti da se stessi o dagli altri?
“Gli obbiettivi vanno condivisi, soprattutto negli sport di squadra, tuttavia è normale che ogni atleta ed ogni coach ne abbiano di propri, l’importante è non diventarne prigionieri e riuscire sempre a fare analisi e valutazioni nel modo più oggettivo possibile. Gli obbiettivi devono sempre essere raggiungibili (ecco perché è sempre meglio condividerli), altrimenti diventano tutti difficili e quindi potenzialmente frustranti”.

Successi: ma quanto è difficile non sedersi mai e trovare nuovi stimoli?
“All’inizio di ogni stagione sportiva, la vera sfida risiede nel cominciare un nuovo viaggio senza galleggiare sui ricordi, individuando e inseguendo i nuovi obbiettivi, pronti ad affrontare gli ostacoli che incontreremo. Senza questa predisposizione dell’umano, credo sia impossibile trovare gli stimoli adeguati”.

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