Di Roberto Zucca
14 aprile 2019. La Roma Volley esce agli ottavi di finale dei playoff promozione di serie A2. Ed è quella gara, costellata da 21 punti, che sancisce l’addio alla pallavolo giocata di Michal Lasko. È un saluto che avviene in sordina, e che forse rispecchia il carattere introverso e poco avvezzo ai riflettori di Michal, che invece per la nostra pallavolo è sinonimo di bellissimi ricordi e di storiche vittorie azzurre che hanno fatto parte di una carriera gloriosa e totalizzante per uno dei migliori atleti della sua generazione:
“Non sono mai stato bravo a promuovere la mia immagine, o ad utilizzare la comunicazione per veicolare dei messaggi. Quando vedo dei giocatori come Zaytsev, che forse è stato il primo a saper declinare certi messaggi attraverso i social network, io capisco di non essere così bravo. Non voglio dire che sia un rimpianto, ma sicuramente avrei potuto sfruttare meglio ad esempio i miei anni in Polonia, dove la pallavolo era gestita in maniera innovativa e ogni domenica si creava una sorta di evento attorno alla gara stessa”.
Partiamo dal presente. A 38 anni lascia la pallavolo.
“Senza rammarico, era arrivato il momento. L’infortunio alla spalla e l’operazione avvenuta prima di Roma mi hanno dato i primi segnali che non avrei potuto continuare a giocare al 100% ancora per tanto tempo. Ho scelto di proseguire con mia moglie Milena e le bambine la nostra vita qui a Roma e di accettare di giocare l’ultima stagione alla Roma Volley. Poi però era giusto che i riflettori si spegnessero e pensassi ad una seconda vita dopo la pallavolo”.
Si è divertito Lasko negli ultimi anni della carriera? Faccio l’avvocato del diavolo se le dico che ho pensato il contrario?
“Qui si sbaglia. Ho disputato le mie migliori stagioni in Polonia, dove a 30 anni ho iniziato a vivere la pallavolo con maturità e cambiando radicalmente il mio approccio al volley. Deve sapere che con la maturità si fa pace con le sconfitte, con le partite giocate non al top. Ci si diverte di più, si gioca con maggiore consapevolezza di se stessi”.
Cosa l’ha fatta soffrire nella sua carriera?
“Da giovane si può soffrire il fatto di non piacere a tutti. I giudizi, anche di alcuni giornalisti, sulle prestazioni. O dell’ambiente in generale. Poi non dico che te ne freghi, ma l’ambiente ti anestetizza. Impari a comprendere che le priorità sono quelle date dalle persone che ti stanno accanto. Mia moglie, le mie figlie”.
Milena. Dicono tutti che sia la donna che ha completato Michal Lasko.
“Mi ha dato ciò che non avevo. L’amore, le nostre figlie. Ho dato ordine alle cose importanti della vita e insieme abbiamo trascorso anni bellissimi all’estero. Anche se lei, ad esempio, in Polonia ha vinto in un anno quello che io non ho vinto in quattro (ride, n.d.r.)”.
La Polonia. La cita spesso. Perché è stato il periodo migliore?
“Perché ho trovato una nazione propensa a vivere la pallavolo come un grande evento. L’Italia è un paese calciocentrico, lì i palazzetti erano pieni zeppi di abbonati, ovunque. E collateralmente alla gara venivano organizzate esibizioni, eventi. C’era tutta una cultura molto bella che era bello vivere. Anche attorno agli atleti c’era un attenzione particolare. Sono stati anni importanti per me”.
Dell’Italia dei club che ricordo ha?
“La mia storia è legata a Verona, società della quale ho vissuto le evoluzioni e nella quale ho trascorso sette stagioni in totale. Poi gli anni a Cuneo, nella quale compresi di non essere pronto a vincere qualcosa di importante, nonostante tutti pensassero il contrario. Mancava qualcosa, nonostante fosse una realtà di peso della pallavolo. E altre realtà più corazzate riuscirono sempre a fare meglio di noi”.
Si ricorda la mattina del 12 agosto 2012. A Londra?
“Ah wow, sì. La vittoria contro la Bulgaria e il bronzo olimpico. Un momento bellissimo. Mi dispiace di non aver partecipato a più competizioni olimpiche. Quello fu un excursus importante. Ci capitarono gli USA con cui giocammo una grande gara e poi la semifinale col Brasile nella quale crollammo. Poi la gara con la Bulgaria e la medaglia”.
Un momento che lei ha ricordato spesso è la World Champions Cup del 2011.
“Un periodo molto importante per me a livello individuale. E ancora di più, un momento trascorso in Giappone con la nazionale nel quale mi trovai benissimo. Un mese in uno dei paesi che ho amato di più in assoluto”.
Cosa manca nell’Italia della pallavolo? Imprenditori lungimiranti?
“No, assolutamente. Le persone con buone idee ci sono sempre state e ci sono ancora. C’è tanta burocrazia ed è quasi impossibile, le faccio l’esempio di Roma, costruire aree nelle quali effettuare discipline sportive. A Roma ci sono due strutture per la pallavolo dei grandi eventi: il PalaTiziano è chiuso per ristrutturazione. Il Palalottomatica è inavvicinabile per il volley, tanto che è monopolio del basket. Capisce che in una situazione simile creare grandi eventi nelle grandi città non è cosa facile”.
Lei si è quindi distaccato. E ha deciso di investire nel mondo delle palestre.
“Avrei voluto investire nel Beach Volley, ma anche lì era una mission impossible a Roma. Ho aperto con un socio tre palestre a Roma. Sono finito in un settore apparentemente non affine al mio. Ma dal quale sto imparando moltissimo. Anche perché il crossfit e il mondo del fitness sono cambiati radicalmente negli ultimi anni”.
Quando ha sentito il richiamo dell’imprenditoria?
“Intanto la ringrazio per il titolo di imprenditore, ancora ho molta strada davanti. Tenevo molto col mio socio a fare un qualcosa di mio. Abbiamo creato il brand Sport and Fitness che comprende quattro centri su Roma. Io sono un po’ un jolly, cioè non alleno direttamente, ma mi occupo della gestione dei centri Sport and Fitness, di Crossfit Casalotti e Torrevecchia e Fit43. È una bella soddisfazione, perché siamo diventati un punto di riferimento per la disciplina a Casalotti, un quartiere che ha tanto bisogno di centri di aggregazione sportiva”.
Perché non ha scelto di rimanere nel mondo della pallavolo?
“Ho preferito fare altro, che fosse nelle mie corde o meno. Tengo i bei ricordi per me. Ma ho deciso di cambiare strada e stiamo bene così”.