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Nicola Negro, giramondo della panchina: “Ogni club mi ha lasciato qualcosa”

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Di Alessandro Garotta

Si può girare il mondo restando seduti su una panchina? Si possono conoscere popoli, culture, nazioni? Se avete risposto di no forse non conoscete la storia di Nicola Negro

Turchia, Polonia, Azerbaijan, Romania, Slovenia. E dall’anno scorso anche il Brasile nel suo personalissimo giro del mondo all’insegna del volley. Potremmo dire che nel suo vocabolario non ci sia la parola “saudade”, quel termine portoghese che rappresenta il senso di malinconia e rimpianto per chi è in terra straniera, lontano dai propri cari. Già, perché il tecnico veneto è uno spirito avventuriero, sempre con la musica rock nelle orecchie e nel cuore l’istinto del viaggiatore senza confini, che fa guardare ogni luogo come fosse la propria patria.

Un allenatore estremamente preparato che nelle sue numerose esperienze all’estero ha sempre tenuto alto l’onore della pallavolo italiana e che sta lasciando il segno anche a Belo Horizonte sulla panchina dell’Itambé Minas. Ecco la sua intervista esclusiva ai microfoni di Volley NEWS. 

È appena iniziata la sua seconda stagione sulla panchina del Minas: come si trova in Brasile e quali motivi l’hanno spinta a rimanere?

Sono molto contento di essere rimasto e di poter guidare un grande club come l’Itambé Minas per la seconda stagione. Qui in Brasile sto vivendo un’esperienza professionale ed umana importante per la mia carriera, e quando mi è stato proposto il rinnovo del contratto non ho avuto nessun dubbio. La stagione scorsa è stata molto positiva per noi con la conquista del titolo Sudamericano e il quinto posto nel Mondiale per Club – prima squadra non europea – ma purtroppo la pandemia ha portato alla cancellazione dei playoff della Superliga e non ci ha dato la possibilità di difendere il titolo nazionale. Il desiderio di riprovare a vincere quest’anno è uno dei motivi principali che mi hanno indotto a rimanere“.

Tra conferme e novità: cosa ne pensa della nuova squadra? Quali saranno i vostri punti di forza?

È una squadra molto interessante da allenare. Non è stato un mercato semplice, ma ritengo che il club e la dirigenza siano riusciti a mettermi a disposizione un buonissimo roster. Siamo ripartiti dalla conferma del ‘blocco brasiliano’, elementi di primissimo livello e di grande esperienza quali la palleggiatrice Macris, il libero Leia e le forti centrali Carol Gattaz e Thaisa. A queste si aggiungono la conferma di Kasiely e il ritorno di Priscila Daroit. Le grandi scommesse sono le due americane, Danielle Cuttino, da cui ci aspettiamo la definitiva esplosione, e Megan Easy, una grande campionessa che rientra in campo dopo due anni di inattività e seri infortuni. In passato ho già avuto la possibilità di allenare Megan e vincere insieme a lei il titolo polacco: quando ho saputo che stava per tornare in campo ho cercato di poterla avere di nuovo nella mia squadra. La panchina è cambiata rispetto alla passata stagione e abbiamo puntato su atlete giovani, ma di talento“.

Foto Minas Tenis Clube

Visto che è un grande appassionato di musica rock, quale colonna sonora sceglierebbe per la stagione 2020-2021?

Ah, questa è una domanda difficile! Visto che siamo davanti ad una ripartenza e dobbiamo ritrovare l’energia e il feeling che abbiamo lasciato qualche mese fa, direi ‘The Best Is Yet to Come’ degli Scorpions: mi piace pensare che il meglio debba ancora arrivare. Invece, in chiave più personale sceglierei ‘Be Yourself’ degli Audioslave; ho vissuto qualche alto e basso durante la mia carriera, ma non mi sono mai abbattuto e ho sempre dato il massimo, cercando di rimanere me stesso“.

Quali sono i vostri obiettivi? 

Siamo consapevoli che quest’anno siamo in cinque squadre molto agguerrite e costruite con l’obiettivo di vincere. Noi proveremo a fare il massimo possibile in tutte le competizioni, vogliamo sicuramente esserci nella lotta per i titoli”.

Il Brasile è uno dei Paesi più colpiti dall’emergenza coronavirus. Com’è attualmente la situazione? Come vede la ripresa della pallavolo?

La situazione che vivo quotidianamente non è molto differente da quella che ho lasciato in Italia. È vero che i numeri del Brasile spaventano, ma bisogna anche dire che è un Paese molto grande. Pian piano anche qui ha riaperto tutto e stiamo tornando alla normalità. In palestra, ovviamente, i protocolli sono molto rigidi e c’è molta attenzione. La struttura del nostro club è enorme, siamo 1.200 dipendenti e non possiamo permetterci di abbassare la guardia, ma nonostante tutto riusciamo ad allenarci bene“.

Se dovesse individuare le differenze nel modo di vivere la pallavolo in Brasile rispetto all’Italia quali sarebbero?

Non vedo grande differenza fuori dal campo. Qui la pallavolo è molto seguita, c’è molta esposizione in tv e grande fanatismo: i tifosi sono calorosi e spesso anche critici. Parlando del gioco, penso che in Italia si dia più attenzione all’aspetto tattico e alla preparazione delle partite, si calcola molto di più. In Brasile si punta di più sulle qualità tecniche e caratteriali delle giocatrici“.

Ha viaggiato tanto e spesso e volentieri ha allenato in posti in cui la tradizione pallavolistica non è esattamente paragonabile a quella italiana o brasiliana. Da questo punto di vista, è stato più lei a trasmettere o più lei a ricevere?

Devo essere sincero e dire che ho sempre avuto la fortuna di vivere delle grandi esperienze, a partire dai primissimi anni da assistente in A1 con Padova, Vicenza e Sassuolo, e più recentemente il ritorno da allenatore all’Imoco Conegliano e poi alla Delta Trentino. Ma la maggior parte della mia carriera si è sviluppata all’estero, e questo sarà il mio dodicesimo anno lontano dall’Italia. Sono stato per quattro stagioni secondo allenatore della nazionale turca, al fianco di Alessandro Chiappini, una fase fondamentale della mia carriera. A livello di club ho vissuto quattro stagioni in Polonia tra Atom Sopot, Tauron Dąbrowa e Impel Wroclaw, una stagione all’Azerrail Baku in Azerbaijan, ma anche delle brevi esperienze in Romania al CSM Bucuresti e in Slovenia al Calcit Ljubljana. Ogni club e ogni esperienza, anche nei momenti negativi, mi ha lasciato qualcosa e mi ha permesso di crescere come allenatore e come uomo. Qualcosa di mio l’ho certamente lasciato, ma di sicuro è più quello che ho avuto e imparato“.

Quali sono i primi passi che bisogna intraprendere per approcciare al meglio un’esperienza all’estero?

Innanzitutto, serve apertura mentale e capacità di adattarsi alle differenti culture e abitudini. Bisogna essere capaci di portare il proprio pensiero e la propria visione di pallavolo, ma rispettando il modo di pensare, a volte differente, del Paese in cui ci si trova. In palestra è tutto più semplice: quando si ha a che fare con delle professioniste, la pallavolo non è poi così diversa“.

In giro per il mondo esiste sempre più richiesta di una conduzione tecnica italiana. Come mai?

È così da ormai una quindicina di anni. Sono stato fortunato a vivere in prima persona l’inizio di questa tendenza; prendiamo ad esempio la Turchia dove nell’ultimo decennio sono passati tantissimi tecnici italiani, ma ricordo bene come fummo io e Chiappini i primi ad arrivare nel 2007 e a dare il via. Il motivo per cui molti tecnici italiani sono cercati all’estero secondo me è da ricercare nell’ottima formazione e nell’esperienza che sviluppano nella nostra Serie A, dove ancora oggi si esprime il miglior volley a livello di club“.

Quali sono i suoi sogni nel cassetto per il prosieguo della carriera da allenatore?

Nel breve termine vorrei poter vincere con l’Itambé Minas. Più in là mi piacerebbe vivere una nuova esperienza con una nazionale, stavolta da primo allenatore. Nel 2016 sono stato molto vicino ad un paio di panchine, ma non si concretizzarono queste possibilità; poter allenare a livello internazionale è sicuramente gratificante e al tempo stesso molto formante“.

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