Di Alessandro Garotta
Il successo di un film si misura dalla bravura degli attori nell’interpretare il loro ruolo, dall’articolazione della sceneggiatura e dalla bellezza delle scenografie. Poi c’è colui che si inserisce al centro di questo universo caotico e, dandogli un ordine e una forma, rende la normalità un capolavoro. È colui che non si vede ma è presente in ogni istante dello spazio e del tempo. Tutto questo e non solo, è il regista.
Nella pallavolo il palleggiatore ha lo stesso compito determinante. È il demiurgo che plasma il gioco della squadra e ha l’intera strategia nella propria testa e nelle proprie mani. A differenza di schiacciatori, centrali e opposti, raramente può scaricare la tensione attraverso l’attacco. Deve gestire in maniera straordinaria la tensione, restando sempre lucido, anche quando la partita non sta andando bene. Insomma, un mestiere davvero difficile, ma non per Ofelia Malinov.
In esclusiva ai microfoni di Volley NEWS, la palleggiatrice della Savino del Bene Scandicci e della nazionale ha parlato dei segreti del suo ruolo, del sogno di giocare le Olimpiadi e della stagione con il suo club.
Lia, come sta vivendo questo momento difficile lontano dalla palestra e cosa le manca maggiormente della pallavolo?
“Negli ultimi anni non ho mai avuto la possibilità di trascorrere così tanto tempo a casa, e perciò ho cercato di godermi la mia famiglia. Devo ammettere, però, che mi mancano molto l’agonismo e l’adrenalina che solo le partite sanno trasmettere… mi vengono i brividi a pensare quanto sarà bello tornare a giocare e provare quelle sensazioni”.
C’è qualcosa che ha imparato dalla quarantena e dalle nuove regole di vita?
“Questo stop forzato mi ha insegnato quanto la vita sia imprevedibile e che per questo dobbiamo vivere appieno ogni momento. In particolare, non dovremo dimenticare quanto è bello prendersi ogni tanto una pausa per dedicare un po’ del nostro tempo a chi vogliamo bene”.
Senza pallavolo e senza partite, per forza di cose ci si aggrappa al passato. Qual è il ricordo più bello della sua carriera finora?
“In queste settimane mi è capitato spesso di vedere foto e video di alcune partite che hanno segnato momenti indelebili della mia carriera. Senza dubbio, l’esperienza a cui sono maggiormente affezionata è il Mondiale del 2018, perché ha segnato per me un momento di svolta dopo un anno complicato e condizionato da un brutto infortunio a Bergamo”.
Che effetto le fa un’estate senza nazionale? E cosa ne pensa del rinvio delle Olimpiadi?
“Le Olimpiadi rappresentano il mio grande sogno fin da piccola e già solo quando ci siamo qualificate la scorsa estate ho provato emozioni indescrivibili… L’edizione di Tokyo si lascerà attendere ancora per un po’, ma proprio per questo sarà ancora più bella. Il nostro gruppo ha una grande voglia di giocarsi qualcosa di importante e dovrà sfruttare al meglio questo tempo in più per crescere e migliorare”.
Cosa si porterà dietro di questa stagione a Scandicci? Come la valuta sia dal punto di vista personale che di squadra?
“Mi dispiace che questa stagione sia stata interrotta sul più bello perché la squadra aveva lavorato molto, rimanendo unita anche nei momenti più difficili, e avrebbe potuto raggiungere traguardi importanti proprio nel finale. Personalmente, mi sono sentita un punto di riferimento per le mie compagne e mi è rimasta dentro una grande voglia di riscatto”.
Oltre ad essere una giocatrice chiave della Savino del Bene, è stata scelta come capitano in seguito all’infortunio di Lucia Bosetti. Quanto pesano i gradi da capitano?
“Essere il capitano di Scandicci è un grande onore e sono contenta che la società abbia individuato in me la persona giusta per ricoprire questo ruolo dopo l’infortunio di Lucia. Mi piace prendermi responsabilità così importanti e perciò non mi è pesato”.
Quali sono le caratteristiche fondamentali per una palleggiatrice e cosa le piace di più del suo ruolo?
“Non cambierei il mio ruolo con nessun altro perché ha una centralità unica: il palleggiatore deve gestire il gioco e le strategie della squadra, risolvendo le varie situazioni che si creano in partita e mettendo le attaccanti nelle condizioni di fare punto. È una grande responsabilità”.
Quali sono i segreti per riuscire a gestire al meglio la distribuzione di gioco?
“La sensibilità ti permette di comprendere le dinamiche di gioco e capire a chi affidarti nei vari momenti della partita: chi ha il killer instinct per i punti decisivi, chi invece può soffrire sotto pressione, chi dopo un errore ha subito bisogno di essere coinvolto oppure chi va in difficoltà se sollecitato di nuovo. Insomma, non è solo questione di tattica ma anche di feeling”.