Di Paolo Cozzi*
Il mio “All Star” del campionato femminile.
Finiscono i campionati di serie A e iniziano le Nazionali, ma prima di tuffarci nel panorama internazionale, vediamo un po’ quali giocatrici si sono distinte nel corso dell’ultima stagione e, magari, saranno anche oggetto del desiderio del mercato estivo, sempre che non lo siano già stato! Terminali offensivi dal braccio caldo, in cima agli opposti ci vanno di diritto Paola Egonu e Barun. Quest’ultima, autentica trascinatrice di Novara, puntuale e decisiva in battuta e costante in attacco! Paola, invece, rappresenta il futuro: ragazza che conosco bene, per essermi allenato spesso insieme al centro federale Pavesi. Oltre alla potenza mi hanno colpito di lei la fame, la voglia di arrivare e migliorarsi sempre. Condivido la scelta di non seguire subito la strada del “mega-contratto” in Turchia, ma di rimanere in Italia per completare la sua crescita tecnica per un altro paio di anni. Ad armare gli opposti una schiera di palleggiatrici fra le quali ho ritrovato ad alto livello Francesca Ferretti, brava ad alternare i suoi martelli e le sue bravissime centrali, in un crescendo che ha portato Modena a sfiorare il tricolore. Molto bene Skorupa per gran parte della stagione, mentre per Carlly Lloyd è stato un anno forse non vincente dal punto di vista dei risultati, ma resto sempre un ammiratore della scuola americana. Per i martelli direi che un bel trio di palla alta potrebbe essere rappresentato da Robinson, Oszoy e Plak. Scuole pallavolistiche diverse, ma con una caratteristica comune: quando la palla scotta il loro braccio non fa cilecca! A fianco dell’intramontabile “Picci nazionale”, ancora una volta punto di riferimento e garanzia di regolarità, mi è piaciuto molto l’atteggiamento e la crescita di Guerra al suo primo anno “ufficiale” in serie A. Potente, completa e con un “ego” ben marcato, ha tutte le caratteristiche per diventare un leader del futuro prossimo, sia nel club che in Nazionale. Per i centrali, detto che Adenìzia a muro è qualcosa di strabiliante e che farebbe sfigurare molti colleghi maschi, la palma di mie preferite va a due italiane. Raffaella Calloni, non più giovanissima ma con un gran cuore ha dominato a muro e si è fatta trovare pronta in attacco, tanto da meritarsi la chiamata di Modena. L’altra, partita un po’ in sordina, è cresciuta a dismisura nei playoff diventando leader della sua squadra: Cristina Chirichella, che con il suo finale di stagione non deve aver colpito solo me visto che è diventata capitana della Nazionale! Ultime, ma due autentiche “aspiravolveri” della difesa, Sansonna e Parrocchiale hanno portato tanto equilibrio in seconda linea e fatto gioire con le loro doti migliaia di tifosi! Per la giovane Parrocchiale porte aperte della Nazionale e la possibilità di diventarne un bel punto di riferimento nel futuro.
SuperLega, quanto vali?
Dopo un po’ di anni senza defezioni, quest’anno la Superlega registra la prima importante perdita di una società, Molfetta, con un altro paio che hanno fatto fatica per raggiungere il budget necessario: un problema storico del nostro sport, dove spesso i presidenti sono anche autentici “mecenati” e unici sponsor, con a volte equilibri economici precari da parte delle società. In queste stagioni, rispetto agli anni 2000, le società si stanno attrezzando con veri e propri uffici marketing e il trend sembrava molto positivo: alcune partnership sono la dimostrazione che ai grandi marchi la pallavolo piace, fornendo un buon ritorno economico e di immagine a chi investe. Tuttavia, evidentemente, manca ancora qualcosa per rendere completamente appetibile il “prodotto volley”. Penso che un canale tematico solo di pallavolo o qualche altra iniziativa nel mondo televisivo (la duplice presenza sui canali Rai e Sky potrebbe essere un progetto interessante…), capace di veicolare maggior visibilità ai grandi marchi, potrebbe essere la soluzione, anche per avvicinare ancora più pubblico al nostro bellissimo sport che, però, tolti i grandi eventi resta un po’ chiuso su se stesso. Purtroppo fare pallavolo ad alto livello costa, e anche tanto, e sono poche le società che con gli incassi e la “pubblicita sui led” riescono a ricavare una buona percentuale delle loro entrate. E’ su questo aspetto che bisogna lavorare: creare un tessuto di partner commerciali interessati e attivi, in modo tale che all’eventuale abbandono di uno si resti con le spalle ben al coperto!
L’importanza delle “case” del volley.
Il “problema palazzetti” è un altro tema caldo del volley italiano, ma anche e soprattutto di tutto il movimento sportivo italiano. Avere un impianto in gestione con un progetto a lungo termine permette alle società di investire, di progettare, di migliorare e di creare nuove idee, nuove iniziative per far vivere i palazzetti non solo il giorno della partita, ma tutta la settimana senza dover aspettare i tempi spesso “biblici” della burocrazia italiana. Due esempi su tutti: il PalaLido e il nuovo PalaValentia. Il nuovo PalaLido, il “mio” PalaLido, pensato per rispondere ai più attuali criteri di modernità (aria condizionata, polivalenza, etc.), è sei anni che procede a singhiozzo fra appalti da rifare, società fallite, partecipazioni private e una burocrazia (quantomeno) discutibile. Quello che doveva essere il nuovo palazzetto di Milano, oltre a essere oggi ancora un cantiere a cielo aperto e lasciare una metropoli come quella Meneghina senza un palazzo dello sport degno di questo nome, costringe tuttora gli appassionati della città ad “emigrare” in altre province per tifare squadre che nascono come milanesi. Per il PalaValentia la situazione è, forse, e se possibile, ancora più paradossale. In una città di 33000 abitanti sono già presenti due palazzetti, piccolini, ma vicini al centro e sempre belli caldi di tifo. Uno dei due, al fine di renderlo operativo, comporterebbe una spesa di oltre 500000 euro. Noto che alle amministrazioni di tutta Italia piace spesso e molto parlare di sport, giovani, valori e quanto altro… ma, poi, poco si fa in concreto per aiutare realtà che hanno un grande impatto sulla vita sociale della collettività.
Il “centrale tecnico”? E’ in coda per la pensione…
Con l’avvento del libero, nel lontano 1998, uno dei ruoli che ha subito maggiori cambiamenti nelle dinamiche di allenamento è sicuramente quello del centrale. Ridendo, ho sempre detto che i centrali dovrebbero pagare metà del loro stipendio ad Acosta, il presidente FIVB che con l’introduzione del libero ha pressoché dimezzato il loro lavoro. I centrali della “vecchia generazione” (e ormai in SuperLega resiste solo Tencati a Piacenza…) sono dei giocatori più tecnici, perché prima si allenavano in ricezione tanto quanto gli schiacciatori. Anzi, spesso anche di più visto che erano il bersaglio preferito dei battitori avversari, soprattutto nel fondamentale float. Un ricco allenamento personalizzato che prevedeva anche molta difesa, perché non si poteva certo avere una sorta di “buco nero” in posto cinque e, quindi, si versava parecchio sudore anche lì! La prima grande differenza con i centrali moderni, però, si vede in prima linea: con il centrale “old generation” che palleggiava il secondo tocco con (apparente) “nonchalance”, mentre la nuova generazione (salvo rari casi) aspetta serenamente che il libero tolga a tutti le “castagne dal fuoco”! Oggi c’è molta più specializzazione, e il compito dei centrali si è ridotto a battuta e muro, soprattutto di palla alta. Sono pochi i centrali con un braccio veloce e tecnico che si conquistano 10-15 palle a partita. Reputo sia cambiata molto anche proprio la fisionomia dei centrali: i giovani di oggi sono più alti, con leve lunghe ma parecchio più “macchinosi” nei movimenti d’attacco. Quanto mi mancano i vari Rodrigao, Lebl… Per spiegarmi meglio, qualche anno fa si giocava molto di più la palla passando un po’ più bassi sulla rete. L’evoluzione e la fisicità moderna impongono, oggi, di passare molto alti tirando, però, spesso “drittoperdritto”… Anche a muro è cambiato il modo di essere centrale. Nei primi anni Duemila spopolava la “lettura” (che è stata anche la mia filosofia guida): ovvero, pochi salti “a tutta” in determinate situazioni e molto aiuto da parte dei laterali, soprattutto dei posti 4. Questo implicava molto dialogo sotto rete, noiosissimi allenamenti di coordinazione muro e difesa e la capacità del centrale di valutare e chiamare prima della battuta le scelte prese sull’impostazione tramite dei gesti dietro la schiena. Oggi si deve saltare di più, per evitare di farsi “passare sopra”, ma è sempre più raro, purtroppo, vedere un centrale “comunicare” con i suoi gesti al resto della squadra. Anche la velocità del gioco non aiuta i “pennelloni” moderni ad arrivare a raddoppiare, portando a fare scelte molto più drastiche e con il rischio di finire a rincorrere il palleggiatore avversario per tutta la partita. In chiusura un consiglio “evergreen” per tutti gli attaccanti: quando si è in situazioni di emergenza, magari davanti un muro a 3 o con la palla bassa, un bel pallonetto in posto 5 quando c’è il centrale in difesa e… il risultato è garantito al 100%!
*Paolo Cozzi, a 35 anni, ha da poco chiuso la sua carriera di atleta nella quale ha vestito la maglia della Nazionale italiana ben 107 volte e quella dei club più importanti in serie A1 come Milano, Modena, Cuneo, Piacenza, Vibo Valentia, Taranto, Castellana Grotte, San Giustino e Monza.