Di Redazione
Il Papa prende spunto dalle fasi di gioco della pallavolo per ribadire che anche nella vita si è a servizio di un obiettivo da raggiungere insieme e consegna questa, e altre riflessioni, ai membri della Federazione Italiana Pallavolo, ricevuti oggi in Vaticano. Circa 300 persone alle quali Francesco ha voluto dare delle indicazioni partendo proprio da alcuni fondamentali del volley. Di seguito il discorso integrale del Santo Padre.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio il Presidente per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome della Federazione e di tutti voi, atlete e atleti delle nazionali italiane di pallavolo, maschili e femminili, maggiori e giovanili.
Insieme alla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana state compiendo un percorso per diffondere sul territorio e tra le società sportive i valori educativi dello sport, in una prospettiva integrale che unisca alla tecnica la possibilità di dare il meglio di sé, sia nell’attività agonistica sia nella vita. Lo sport, infatti, deve essere sempre a servizio della persona e della società, non di interessi o logiche di potere.
Vorrei dunque incoraggiarvi a proseguire nel cammino intrapreso, proponendovi alcune indicazioni che traggo dalle azioni fondamentali del vostro sport.
Innanzitutto, la battuta, che è il primo colpo che dà il via al gioco. Nella partita, così come nella vita di ogni giorno, occorre prendere l’iniziativa, assumersi la responsabilità, coinvolgersi. Mai restare fermi! Lo sport può aiutare molto a superare timidezze e fragilità, a maturare nella propria consapevolezza, ad essere protagonisti, senza mai dimenticare che “la dignità della persona umana costituisce il fine e il metro di giudizio di ogni attività sportiva” (Giovanni Paolo II, Giubileo degli sportivi, 29 ottobre 2000).
Alla battuta corrisponde la ricezione. Come bisogna essere pronti a ricevere la palla per indirizzarla in una determinata area, così è importante essere disponibili ad accogliere suggerimenti e ad ascoltare, con umiltà e pazienza. Non si diventa campioni senza una guida, senza un allenatore disposto ad accompagnare, a motivare, a correggere senza umiliare, a sollevare quando si cade e a condividere la gioia della vittoria. Servono persone che siano punti di riferimento solidi, capaci di insegnare a “ricevere” bene, individuando i talenti dei propri atleti per farli fruttificare al meglio.
C’è poi l’alzata, il passaggio verso il compagno o la compagna che ha il compito di finalizzare l’azione. Non si è mai soli, c’è sempre qualcuno da servire. Non esiste solo la dimensione individuale, ma si è parte di un gruppo: ognuno è chiamato a dare il proprio contributo perché si possa vincere insieme. I giocatori di una squadra sono come le membra di un corpo: san Paolo dice che “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26). In un mondo dove si sgomita per apparire e per emergere a tutti i costi, dove l’io viene prima del noi, dove si scarta chi è debole e improduttivo, lo sport può essere segno convincente di unità, di integrazione, e può lanciare un messaggio forte di pace e di amicizia.
Decisiva è certamente l’azione di attacco, che consente di fare punti e di costruire la vittoria. Lo sport deve promuovere un sano agonismo, senza scadere nella tentazione di vincere calpestando le regole. Il sacrificio, l’allenamento, il rigore sono elementi imprescindibili dello sport, mentre la pratica del doping, oltre ad essere pericolosa, è un inganno che toglie bellezza e divertimento al gioco, macchiandolo di falsità e facendolo diventare sporco.
Per opporsi all’attacco, si fa il muro. Questa parola ci fa pensare ai muri presenti in diversi luoghi del mondo, segno di divisione e di chiusura, dell’incapacità degli uomini di dialogare, della presunzione di chi pensa che ci si può salvare da soli. Invece, nella pallavolo, quando si fa muro si salta in alto per affrontare la schiacciata avversaria: questo gesto ci aiuta a pensare la parola in un’accezione positiva. Saltare in alto significa distaccarsi da terra, dalla materialità e dunque da tutte quelle logiche di business che intaccano lo spirito sportivo. I soldi e il successo non devono mai far venire meno la componente di gioco, di divertimento. E per questo mi raccomando tanto: non lasciare mai la dimensione amatoriale dello sport. Lo sport o è amatoriale o non è sport. Questo va custodito bene, perché con questo voi custodite anche il vostro cuore.
Cari amici, vi ringrazio per questa visita e vi esorto ad essere sempre testimoni di correttezza e lealtà. Molti ragazzi vi guardano e tifano per voi: per loro siete dei modelli, non deludeteli! Vi auguro di giocare bene divertendovi, diffondendo nel campo e fuori dal campo i valori dell’amicizia, della solidarietà e della pace. Di cuore benedico voi e i vostri cari. E, per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie!
(fonte: Comunicato stampa)