Quando perdiamo le persone a noi care: la tragedia di Marcos Milinkovic

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Di Stefano Benzi

Uno dei momenti che preferisco nelle partite di pallavolo è alla fine, quando il punteggio è fissato e le squadre non giocano più. Adoro guardare il campo e vedere i ragazzini che sciamano da una parte all’altra della rete giocando con palline di carta o, se il custode è in vena buona, anche con un pallone di gara. Se ci pensate, non esiste niente del genere in altri sport: è vero, ogni tanto si esagera e per inseguire i campioni a volte c’è il rischio che qualcuno inciampi e si faccia male. Ma il dato di fatto è che non ci sono sportivi che si concedono al pubblico quanto i pallavolisti e non c’è un pubblico più civile di quello della pallavolo.

La cosa più bella in assoluto è vedere i figli dei giocatori che giocano insieme ai figli dei tifosi: credo sia un messaggio fortissimo. Mi capita spesso di vedere questa scena e sto lì, a bordo campo, a godermela con il sorriso stampato sul volto. Ho visto diversi figli di giocatori crescere qui in Italia. Ho visto moltissime pance produrre potenziali cittadini italiani da mogli di giocatori russi, americani, olandesi. E ho visto anche qualche giocatrice inserire tra i programmi di allenamento una gravidanza.

Io ho due figli, Edoardo e Giulia: vivono con la mamma a Genova. Quando mio figlio giocò il Trofeo Ravano, un campionato di calcio patrocinato dalla Sampdoria e riservato alle scuole elementari, la sua squadra perse 8-1. Edo, che ha una gran testa e un discreto senso dell’ironia, vide la mia faccia all’uscita degli spogliatoi e disse… “Papà, sono figlio tuo, non puoi pretendere che giochi bene a pallone”. Il ragionamento non faceva una grinza.

Anche se la salute non mi ha mai lasciato tranquillo sarei pronto ad affrontare qualsiasi malattia o incidente pur di toglierlo ai miei figli o ai figli delle persone che amo. Non esiste niente di peggio che vedere soffrire tuo figlio.

Qualche giorno fa mi è arrivata una notizia terribile che mi ha lasciato sgomento, senza parole e incapace di reagire. Luka, il figlio tredicenne di Marcos Milinkovic, è mancato in un incidente al mare, annegato mentre faceva snorkeling nelle acque dell’isola di Brac. Marcos aveva cullato l’idea di un figlio mentre giocava a Milano, nell’Asystel e Luka fu concepito proprio qui. Le radici che lo legavano all’Italia e alla Croazia, da dove arrivava la sua famiglia d’origine e dove tornava ogni anno in vacanza, erano solidissime. Marcos aveva lasciato la pallavolo solo due anni fa dopo una carriera importante e ricca di soddisfazioni. Ora lavora per la Federazione argentina e suo figlio era già un fuoriclasse: aveva giocato a Novi Sad allenandosi con la prima squadra, due braccia lunghissime e un balzo pauroso, nato per giocare opposto, come suo padre.

La vita purtroppo ci offre storie belle e altrettante tragiche, alcune inaccettabili perché toccano i nostri cari o persone cui vogliamo bene. Abbraccio Marcos e la sua famiglia e credo di poter estendere in questa unione tutti i lettori, l’editore e la direzione di Volleynews. Ho impiegato diversi giorni a scrivere queste poche righe, e di meglio non mi riesce. La vita sa essere terribilmente ingiusta. E non c’è nulla da raccontare che ci faccia stare meglio.

 

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