Immaginate questa scena: vostro figlio o vostra figlia sta giocando una partita di pallavolo, il coach chiama time out, parla alla squadra o magari proprio con lui o lei e lui o lei guarda altrove. Voi genitori vi sbracciate dalle tribune, “Stai attendo, ascolta l’allenatore”. L’allenatore magari fa lo stesso: “Ehi, sto parlando con te”. I compagni o le compagne ci mettono il carico da undici alzando gli occhi al cielo, o peggio sghignazzando in segno di scherno. Nessuno, né voi genitori, né l’allenatore, né il resto della squadra, sta capendo che vostro figlio o vostra figlia probabilmente non sta facendo altro che azionare il suo “superpotere“, quello degli atleti con un DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento).
“Sapete cosa succede a me durante i time out? Mentre l’allenatore mi parla, o ci parla, io riesco ad ascoltare lui, e lo faccio in maniera nitida senza perdermi una virgola. Ma contemporaneamente metto nel mio radar anche una mosca che vola nel palazzetto, quello che si stanno dicendo gli spettatori delle prime file dietro la panchina, la mia compagna che si mangia nervosamente le unghie o quella che si sta aggiustando la coda dei capelli e tante altre cose. Allo stesso modo, quando sono in campo durante il gioco, riesco a mettere a fuoco tutto: dov’è la palla, la sua velocità, come si stanno posizionando le avversarie dall’altra parte della rete, quali saranno i loro prossimi movimenti”.
A parlare è Martina Morandi, classe 2002, 175 centimetri d’altezza, da tre anni giocatrice di Serie A2 e in quest astagione alla Orocash Picco Lecco. Martina, circa una quindicina di anni fa, ha scoperto di avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA). Prima di saperlo aveva avuto difficoltà a scuola, anche d’inserimento, perché non capita da insegnanti e compagni. Tendeva per questo a chiudersi, isolarsi, parlare poco, poi all’età di dieci anni ha iniziato a praticare sport. Prima ha provato il tennis, poi, su consiglio della sua neuropsichiatra di allora, ha cercato uno sport di squadra, finendo con l’innamorarsi della pallavolo.
Cresciuta nelle squadre giovanili del Consorzio Vero Volley, si è messa in mostra molto presto tanto da passare subito le selezioni per le squadre Under di eccellenza, dall’Under 14 sino all’Under 18, giocando quasi in tutti i ruoli: schiacciatrice, palleggiatrice, centrale, poi di nuovo schiacciatrice e infine libero, ruolo che le ha spalancato le porte della Serie A prima in A1, debutto con la Saugella Monza (2020), poi in A2 con la Futura Giovani Busto Arsizio e ora, come detto, alla Picco Lecco, sognando un giorno di tornare a casa, alla sua Vero Volley, per chiudere un cerchio magico.
E dire che a questa ragazza, per tanti anni, quasi non era concesso sognare; ma chi ha tentato di tarparle le ali, di persuaderla, si è sempre dovuto ricredere. “Viste le tue difficoltà di apprendimento, è impensabile che tu possa studiare lingue“, ma Martina ha poi frequentato con successo proprio il liceo linguistico. “Viste le tue difficoltà di apprendimento, è impensabile che tu possa andare all’università“, ma Martina ora è anche iscritta al corso di Linguaggi dei Media presso l’Università Cattolica di Milano. “Viste le tue difficoltà di apprendimento, è impensabile che tu possa costruirti una carriera nello sport“, ma la risposta a questa affermazione ormai la conosciamo.
Martina Morandi è andata dritta per la sua strada perché aveva capito che il suo DSA non era un ostacolo, ma un superpotere. È andata avanti, contro tutto e tutti, contro anche se stessa, spinta unicamente dalla sua gigante forza di volontà, ma oggi gli atleti con DSA potrebbero avere presto strumenti specifici ed efficaci per aiutarli nella pratica della loro disciplina sportiva.
E questo grazie ai genitori di Martina, Matteo e Paola, che con la Fondazione Morandi stanno dando vita, insieme proprio al Consorzio Vero Volley, sempre in prima linea sui giovani, a un progetto unico nel suo genere chiamato TatticaMENTE, che ha lo scopo di realizzare il primo protocollo con valenza scientifica che fornisca nuove e corrette procedure e regole per allenare al meglio questi ragazzi, permettendo loro di performare nel migliore dei modi.
“Con la partecipazione attiva di due neuropsicologhe, messe a disposizione dalla Fondazione, in una prima fase del progetto abbiamo coinvolto oltre cento allenatori del network Vero Volley; successivamente abbiamo ristretto il cerchio a circa venti. Durante questi confronti – ci racconta Matteo Morandi – si è fatta luce su tanti aspetti: gli allenatori hanno raccontato, ad esempio, dei primi segnali che avevano individuato, segnali che spesso neanche le famiglie avevano ancora colto, delle difficoltà riscontrate dai ragazzi sia a livello di apprendimento o concentrazione che di inserimento nel contesto squadra“.
“Su questa base di importantissimo confronto – prosegue –, continueremo a lavorare insieme per realizzare poi questo protocollo-manuale, che speriamo di riuscire a pubblicare il prossimo anno. Nella scuola si è fatto molto di recente, ma solo a partire dal 2010, mentre nello sport ancora no; ed è stato questo, oltre all’esperienza diretta vissuta con nostra figlia, a spingere me e mia moglie, con la nostra Fondazione, a realizzare questo progetto che è stato subito sposato con grande entusiasmo da Alessandra Marzari e Mauro Rech (rispettivamente presidente e direttore sportivo del settore giovanile del Vero Volley, n.d.r.)”.
La Fondazione Morandi ha come obiettivo primario la formazione di professionisti all’avanguardia in tre ambiti specifici: sanità, scuola, sport. Lo fa donando il 99% dei fondi raccolti ai progetti concreti, eliminando tutti i costi inutili, riducendo al minimo la burocrazia per agire subito ed efficacemente, dando priorità al 100% alle persone. Sul sito ufficiale della Fondazione tutte le informazioni per sostenere le sue attività.
Di Giuliano Bindoni