Di Redazione
Succede alla media Cavalieri di via Anco Marzio, dove il rituale torneo di pallavolo è diventato uno spiacevole caso virato in positivo solo grazie alla serietà dei ragazzi (e della istituzione che li educa).
Racconta la preside Rita Bramante a il “Milano.Corriere“, tornando indietro di un mese: «Qualche tensione c’era stata già dalle prime partite, in un crescendo, e negli anni scorsi non era mai successo.
Era già stato fatto un tentativo di riportare la competizione ad un giusto spirito sportivo e a nulla è valso. L’ultima partita del girone si è disputata con i docenti di educazione fisica (un uomo e una donna) a fare da arbitri.
Lì è successo l’imponderabile. Urla, contestazioni: non tanto tra i ragazzi, quanto tra i due adulti. I due professori hanno litigato talmente tanto in campo, che uno dei due ha rassegnato le “dimissioni” da arbitro abbandonando addirittura la partita.
Ora, un docente che abdica al suo compito, io in quindici anni di mestiere non l’ho mai visto, forse anche nella storia dello sport non si conosce un arbitro che ha abbandonato la partita», considera la dirigente. Ma non finisce qui.
La tensione non si stempera: anzi, si estende – e spacca in due fazioni anche docenti di altre discipline, in vista della finalissima prevista per il 22 maggio con centinaia di genitori come pubblico, in un vero e proprio palazzetto dello sport.
«Docenti che difendevano la squadra A, altri che tifavano per la squadra B. Nei corridoi non si parlava d’altro, con acredine invece che con l’armonia deve sempre regnare a scuola.
Non so quale corto circuito si è verificato ma quello che passava ai ragazzi era competitività insana e questo io, da preside, non lo potevo tollerare».
Bramante a quel punto convoca in una riunione ragazzi capitani delle squadre, rappresentanti dei docenti, i due prof di motoria. Agli studenti offre tre possibilità: finire in anticipo il torneo senza disputare la finalissima; disputarla, solo in palestra, a porte chiuse, solo le due squadre e senza pubblico, per sottolineare che si trattava di una partita nata in acque non buone, dunque da nascondere, più che da mostrare.
Ma la preside, lungimirante, regala anche una terza possibilità, la più difficile. Dice ai ragazzi: «Se siete in grado, se ci dimostrate che vale la pena, potete disputare la finalissima al palazzetto con tutto il vostro pubblico. Ma dovete cavarvela voi senza gli arbitri, senza quegli insegnanti di motoria che sul campo hanno dato forfait lasciandovi soli».
Segue una discussione che dura giorni, alla preside arrivano i voti dei capitani e dei docenti. I ragazzi argomentano l’idea che non si poteva perdere una finalissima per cui tanto si sono preparati e riescono a convincere alla fine tutti, preside inclusa.
Risultato: il 22 si disputerà la finalissima, al palazzetto, e i ragazzi saranno lì a schiacciare sotto rete, senza professori ad arbitrare in campo. «I ragazzi daranno una lezione di sport corretto a tutti noi — conclude la preside —. Sono grandi, questi adolescenti, anche se hanno solo 13 anni. Basta dare loro fiducia, metterli alla prova, e loro ci stanno, raccolgono la sfida. Hanno orgoglio. E valori da insegnare, persino a noi adulti».