Di Stefano Benzi
Un ragazzo, una palla e una rete. Obiettivo battere il pallone in modo che scavalchi la rete e cada nel campo avversario eludendo la ricezione dei suoi avversari. Il ragazzo, mancino, prova a battere inizialmente da fermo e il risultato è discreto: la palla è alta ma non troppo anche se cade con poco effetto e in modo un po’ troppo prevedibile. Ma un pallone dopo l’altro che viene raccolto dalla cesta sembra ritagliare traiettorie sempre più aggressive e imprevedibili. Decine, centinaia di tentativi a ogni allenamento fino a sentire un gran male al braccio, fino a sentire formicolare gomito e polso.
Poi il ragazzo, che chiameremo Andrea, inizia a variare il punto di battuta della palla: prova a colpirla piena, da dietro, poi leggermente di taglio o con un movimento di frusta del polso che offre quasi un contraccolpo al momento dell’impatto: e la palla ricade più velocemente seguendo una traiettoria a rientrare.
Occorre la forza giusta, sempre quella, sempre costante, per prendere confidenza con tutti i punti di caduta possibili: un’altra grande scoperta è che se la palla viene colpita di taglio in corrispondenza della valvola la traiettoria è ancora più secca ancora più imprevedibile. Il pallone se viene colpito con forza si deforma e sembra quasi disegnare un vortice nel suo movimento per aria.
Ogni allenamento per Andrea è più lungo, ci sono decine di palloni da battere nel campo avversario, deserto. Manca il salto di qualità definitivo; la rincorsa per la battuta al salto. Altri palloni da mettere nella cesta, altri tentativi: a decine, a centinaia.
Lo spazio tra il muro e il campo è poco; ci sono anche una spalliera, una pertica e una panca per gli esercizi. Lo spazio per la rincorsa è davvero ridottissimo: percorrerlo in linea retta significa non avere né velocità né misura per il salto. Andrea comincia la rincorsa, poi la spinge verso l’esterno disegnando un percorso quasi ellittico, poi sempre più circolare. Un passo laterale, uno in diagonale che aggiunge spinta e trazione e poi due passi corti per il salto. È un movimento che ricorda l’arco che si tende. Tutto è coordinato alla perfezione: spinta, salto, movimento, battuta. È certamente uno stile di servizio unico nel suo genere.
Magari quando un giornalista un domani ti chiederà com’è nata quella battuta dovrai spiegare che nella palestra di Città di Castello c’era poco spazio per la rincorsa…
Il ragazzo mancino si chiama Andrea Sartoretti ed è stato uno dei più fenomenali talenti della generazione di fenomeni: ho avuto piacere di fotografare con questo post un po’ narrativo la genesi di uno dei servizi più sinuosi, eleganti e potenti della storia del volley… “Ho iniziato a battere così solo perché avevo poco spazio per la spinta e mi sono dovuto adattare” mi disse Sartoretti. Mi vidi costretto a ribattere “Hai iniziato a battere così perché sei un fenomeno” tant’è che il suo movimento leggermente esposto, laterale lo ha sempre mantenuto anche quando lo spazio era abbondante.
Andrea Sartoretti: dal 1991 al 2009 409 partite in serie A: 6734 battute 681 ace, un record di 72 servizi punto nel 1997/98 a Montichiari.