Quella volta che portai Maurizio Mosca a vedere una partita di pallavolo

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Stefano Benzi

Oggi sarò un po’ più lungo, perdonatemi.

Per circa sei anni ho avuto il privilegio di lavorare fianco a fianco con una delle persone più intelligenti, divertenti, appassionate e intellettualmente oneste che abbia mai avuto la fortuna di conoscere in questo mestiere. Parlo di Maurizio Mosca: quando arrivò ad Antenna Tre io ero già conduttore e telecronista da almeno quattro anni e in tutta onestà il suo arrivo mi spaventò. Era un personaggio molto estemporaneo, bizzarro… drammaticamente imprevedibile. Avendo a che fare con ospiti come Nedo Sonetti, il povero professor Franco Scoglio e Aldo Serena il mio ruolo era quello di un equilibrista in bilico su un barile di C4. Le prime due settimane furono di autentico panico: ero in balia degli eventi. Poi dopo due cene a tu per tu con Maurizio, che amava molto a qualsiasi ora finisse il programma (anche a mezzanotte) mangiare un boccone a San Siro o vicino agli studi, cominciai a guardare le cose sotto un’altra ottica, soprattutto dopo che mi disse… “non preoccuparti, a domare le tigri ci penso io, tu segui ordinatamente gli argomenti e stai sulle notizie”. Niente di più facile: io e Maurizio diventammo in breve una sorta di associazione a delinquere. Ci facevamo gli scherzi più assurdi, o lui mi spiazzava con frasi orrende da sentire in onda e di fronte alle quali riuscivo solo a sghignazzare selvaggiamente, seminascosto dalla scenografia.

Il nostro capolavoro fu “Di qua o di là”. Era un programma che inizialmente non voleva fare nessuno: non era abbastanza serio per un giornalista sportivo. Ma evidentemente era perfetto per me.

Maurizio, qualche secolo prima degli altri, capì che gli opinionisti erano ridicoli, che si prendevano troppo sul serio e che chiunque poteva stare al posto loro, anche l’uomo della strada. Per cui selezionò una cinquantina di tifosi misti, juventini, milanisti, interisti, napoletani e qualunquisti, che venivano divisi in due gradinate. Lanciato l’argomento – ad esempio, “sostituireste Bierhoff con Inzaghi?” – chi la pensava in un modo andava da una parte e chi la pensava diversamente correva a prendere posto sull’altra gradinata. E per quindici venti minuti il dibattito semiserio e surreale che ne seguiva era spassoso. Ogni partecipante aveva il suo nickname e poteva dire quello che gli pareva.

Mosca ammoniva o espelleva i tifosi troppo irruenti ma alla fine aveva quello che voleva: un talk show a basso costo dove chiunque poteva avere il suo ruolo. Io facevo il vigile urbano e più di una volta venni sorpreso nascosto dietro le scenografie con le lacrime agli occhi dal ridere.

“Di qua o di là” era il nostro luna park; poi con “Antenna Tredici” o “Azzurro Italia” cercavamo di fare il nostro mestiere, “ma mai troppo sul serio – intimava Maurizio – se no sai che palle….!”

Imparai tantissimo da Nicola Forcignanò, il primo che mi volle a tutti i costi in onda, da Fabio Santini, un guru per me sia sotto l’aspetto musicale oltre che sportivo, ma Maurizio fu unico. Era golosissimo: a ogni pausa pubblicitaria gli portavo caramelle e barrette di cioccolato che mangiava di nascosto e quando lo coglievo in fallo perché aveva perso l’argomento diceva… “O no? Perché… scusa, no?” Voleva dire che non aveva la più pallida idea di quello che avessi detto e si sforzava più di me per non ridere.

In compenso era un professionista maniacale: il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene. Ogni scaletta veniva scritta personalmente da lui con un pennarello nero a punta grande, e guai a sgarrare. Voleva sapere sempre dettagliatamente quali sarebbero stati gli argomenti, accettava i suggerimenti ma le cose dovevano essere fatte alla sua maniera.

Ed ecco l’aneddoto: un giorno, alla sua maniera, provocatoria e trasversale, disse che la pallavolo era uno sport per cretini mimando il rumore e l’andamento della palla: “Sì ci ho giocato sulla spiaggia quando ero ragazzo ma poi ho deciso che era uno sport per cretini”. Un addetto stampa in gamba oggi cavalcherebbe la cosa e porterebbe una personalità come Mosca dalla propria parte: ma all’epoca decisero di querelarlo.

Fu in quel momento che Mosca, di fronte a una denuncia di chi non capisce il distinguo tra una diffamazione e una provocazione, cominciò a pensare che la pallavolo gli facesse schifo sul serio. Per cui una volta, a causa di una scommessa che vinsi personalmente con lui, lo portai a vedere una partita di pallavolo.

Andammo al PalaLido a vedere l’Asystel, era una sera infrasettimanale in cui eravamo liberi: se non ricordo male giocava contro Parma. Maurizio pretese di non stare in mezzo al pubblico, temeva gli insulti: quindi restò vicino a me tutto il tempo, nascosto tra un ingresso laterale e i cartelloni pubblicitari. Quando Milinkovic saltò dalla seconda linea e scaraventò a terra una palla a 140 km/h rimase a bocca aperta: “Ma è pazzo! Ma come fa!” Gli spiegai i turni di battuta e di schiacciata, il lavoro dell’opposto e la posizione a ventaglio delle mani dei centrali. A fine partita Mosca, lontano da sguardi indiscreti volle a tutti i costi conoscere Milinkovic e l’immagine dell’opposto argentino di 2.05 davanti a Maurizio, che non arrivava al 1.60, e gli mostrava le mani o gli faceva vedere come contasse i passi per battere al salto o evitare la pestata sulla schiacciata da dietro, era dolcissima. Quando a Maurizio una cosa piaceva, sorrideva: ed era il sorriso di un bambino, pieno di sorpresa, ammirazione, ingenuità.

Insomma, fu una delle scene più appaganti della mia vita. Maurizio, quando andammo via, strizzava gli occhi e cercava di imitare Milinkovic nel corridoio del PalaLido: “Hai capito no? Uno, due, tre… stringo il piede esterno e salto su con il braccio in movimento”. Marcos se la rideva. Niente telecamere, Maurizio mi fece giurare che non avrei scritto nulla: non riteneva sensato che i fan della pallavolo pensassero che lui avesse persino un cervello, oltre alla capacità di dire la cosa più scomoda e dissacrante che gli passasse per la testa. In fondo qualcuno aveva fatto credere a tutti che Mosca ritenesse la pallavolo uno sport per cretini: cosa che ovviamente non era…

Ma Maurizio Mosca in televisione, solo per il gusto di sorprendere e spiazzare, fece credere tantissime cose strane a un sacco di gente che si prendeva troppo sul serio.

Qualche giorno fa ho scritto di televisione e di contenuti. Maurizio mi manca immensamente, non mi sono mai divertito così tanto in televisione come con lui e non c’è mai stato nessun altro così capace di prendersi in giro e di non prendersi sul serio pur portando notizie spesso molto serie a volte addirittura drammatiche. “Di qua o di là” nella sua ingenua voglia di intrattenere gli sportivi fece ascolti incredibili. Nessun altro si è azzardato a riproporlo… Credo sia un merito: mio e di Maurizio.

Maurizio ci ha lasciato nel 2010, a Bruzzano poco lontano da casa mia c’è la sua tomba: “Ho cercato di spargere allegria tra la gente”, c’è scritto sulla lapide che ospita un vecchio pallone di cuoio e dove un fan ha posato un pendolino. Io, insieme ai soliti fiori, gli lascio sempre una merendina di cioccolato. Un pensiero, una dedica a un uomo che mi ha insegnato tanto, senza mai aver avuto la presunzione di farmelo pesare… “o no, eh…?”

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI