La ricezione è un rebus sempre più difficile da risolvere per molte squadre di pallavolo femminile. Sono ormai numerosissime le formazioni, anche di alto livello, che faticano a trovare continuità nelle percentuali di positività e perfezione da seconda linea: basti pensare che proprio questo difetto è stato più volte rimproverato alla nazionale italiana nelle recenti e poco fortunate avventure agli Europei e alle qualificazioni olimpiche. E dire che una volta la solidità in ricezione era una caratteristica di tutto il volley femminile e in particolare della “scuola italiana”, caratterizzata da sontuose interpreti del fondamentale come Francesca Piccinini, Antonella Del Core o Lucia Bosetti.
D’altra parte, però, sempre meno allenatori sembrano considerare quello appena descritto come un problema. Nella scorsa stagione Zoran Terzic non si è fatto scrupoli nel far giocare il suo Fenerbahce senza ricettrici pure, ottenendo risultati strepitosi, e ancor meno ha esitato Daniele Santarelli a lanciare la sua Turchia con il “rivoluzionario” spostamento di Ebrar Karakurt in posto 4. Lo stesso Davide Mazzanti ha più volte dichiarato che le attaccanti azzurre “devono sapersi tenere a galla in qualunque situazione”, cioè anche con ricezione negativa e palla staccata.
Questo tipo di approccio, una volta, era tipico della Russia: il CT Yuri Marichev, la cui nazionale dominò due edizioni degli Europei nel 2013 e nel 2015 con Kosheleva e Goncharova in attacco, faceva un vanto del suo modulo “palla alta e pedalare”, per dirla in termini calcistici. Ma ora l’idea sembra essersi espansa ben al di là dei confini dell’ex cortina di ferro.
Non si tratta però, almeno nei casi più recenti, di una presa di posizione puramente ideologica: il fatto è che i dati supportano questa visione del volley, evidenziando una correlazione sempre minore tra la ricezione positiva e il numero di vittorie o le classifiche finali. Già osservata da tempo nel settore maschile, questa tendenza si è ormai imposta anche a livello femminile: in buona sostanza, le percentuali di ricezione influenzano assai meno degli altri fondamentali le possibilità che una squadra ha di imporsi sulle altre. Certo, è una statistica che in parte si autoalimenta (meno si allena la ricezione a livello globale, più sarà facile vincere anche con ricezione negativa), però fotografa un trend in atto e un nuovo modo di vedere la pallavolo.
Stefano Sassi ha posto per noi la questione a Massimo Barbolini, che della ricezione è stato ed è un cultore, ma non può fare a meno di confermare lo stato delle cose: “Penso che ultimamente in generale il livello sia calato – dice l’allenatore della Savino Del Bene Scandicci – non ci sono più tantissime giocatrici abili in ricezione. Se si chiede a un allenatore quali giocatrici si potrebbero comprare come ricettori, è difficile arrivare a 4-5…“.
Gli stessi tecnici, per Barbolini, hanno una responsabilità in questa metamorfosi: “Molti allenatori preferiscono avere in squadra un attaccante forte in più che non un buon ricettore. A volte questo porta risultati, a volte no, però è una problematica tecnica da cui deriva il fatto che a livello mondiale ci siano pochissimi ricettori di alto livello. Bisogna poi considerare che ormai anche nel femminile la battuta ricopre un ruolo veramente molto importante“.
Insomma, vedremo un volley internazionale sempre più sbilanciato verso i fondamentali di attacco e servizio oppure questa è soltanto una “fase” (ancorché già piuttosto lunga) che porterà a un’ulteriore evoluzione del gioco? Una domanda a cui non è facile rispondere, ma che cercheremo di porre agli esperti nei prossimi mesi per approfondire il più possibile il tema.
di Eugenio Peralta