Di Stefano Benzi
Ravenna ha un passato che profuma di pallavolo: tanti trofei femminili e maschili, un’attività fittissima divisa tra diverse società che alla fine, un po’ per scelta ma soprattutto per necessità, hanno deciso di riunirsi in un progetto comune. In ambito maschile la Porto Ravenna Volley e la Robur Angelo Costa si sono fuse nel 2013 ricalcando l’operazione che diversi anni prima avevano intrapreso in ambito femminile Olimpia e Teodora.
Ravenna aveva già vinto in passato con una delle sue numerose denominazioni ma erano trofei di gran lunga diversi per come erano stati conquistati e per la squadra che li aveva ottenuti: Andrea Gardini nel 1992 portò a Ravenna la Coppa dei Campioni, il primo di tre trofei straordinari e consecutivi, esposti insieme a una Coppa Mondiale per Club, due Supercoppe europee. Era il periodo in cui tutto sembrava possibile: la città romagnola trasudava ricchezza, opulenza e investimenti industriali. L’era di “Raul il Grande”, Raul Gardini, presidente del gruppo Ferruzzi “l’uomo cui nessun politico poteva azzardarsi a dire di no…”. Era stato definito così da Bettino Craxi tale era la sua potenza economica e personale.
Gardini a Ravenna creò quasi dal nulla un polo di volley femminile unico nel suo genere e lo battezzò Teodora, come l’olio di semi prodotto dalla Ferruzzi, la sua holding. A tempo di record finanziò la costruzione di un palasport che dedicò a Mauro De André, il suo avvocato e amico personale che era stato stroncato da un aneurisma. Un nome di prestigio, perché la famiglia De André (la stessa del cantautore Fabrizio, Mauro era suo fratello maggiore), aveva condiviso molte attività industriali di Gardini a cominciare dall’Eridania, l’azienda che all’epoca era quasi monopolista nel commercio dello zucchero.
Gardini era un appassionato maniacale e onnivoro di sport: investì nel basket, nella pallavolo, nella vela – con la costosissima operazione del Moro di Venezia. Evitava il calcio come la rogna: “Io investo per fare crescere ragazzi con determinati valori, non per mantenere agenti, procuratori e presidenti di facciata” disse rispondendo a chi gli chiese perché non volesse investire nella Roma.
Le sue aziende potevano anche affrontare momenti di crisi ma i suoi investimenti nello sport non venivano mai meno: “Perché lo sport è una delle poche cose che non mi fa venire l’ulcera, anche quando perdo” disse.
Gardini decise che creare una squadra femminile praticamente imbattibile non gli bastava e iniziò a sovvenzionare il volley maschile portando come sponsor il quotidiano Il Messaggero, del quale era socio. Arrivarono niente meno che Karch Kiraly e Steve Timmons oltre a Andrea Gardini: “I miei ragazzi giocano come in paradiso” disse dopo la vittoria del 1992 sempre al Pireo contro l’Olympiakos. C’erano 16mila tifosi greci dentro l’Arena della Pace e dell’Amicizia. Furono insulti pesanti per tutta la gara: alla fine i padroni di casa si alzarono in piedi ad applaudire il carro armato che li aveva asfaltati (15-4, 15-9, 15-7).
Il 1993 fu lo spartiacque: con le indagini Tangentopoli e Mani Pulite molti politici scomparvero, altri furono arrestati, altri ancora attesero anni prima di riciclarsi in qualche modo. Gardini no… non era certo il tipo da teletrasportarsi in un paradiso fiscale e godersi i miliardi. Quando seppe che Gabriele Cagliari, l’uomo chiamato a testimoniare contro di lui sul caso Enimont si era ucciso in carcere, si sparò alla testa: era il 23 luglio 1993. Per la verità ancora oggi – non scrivo certo nulla di nuovo, ci sono ancora indagini in corso, figuratevi – non si sa se sia stato un suicidio o un omicidio. Alcuni rapporti parlano di due colpi di pistola.
Ma quello che seminò Gardini con quelle società fu quello che in qualche modo pulsa ancora oggi. Arrivò una Coppa Cev con un giovanissimo Simone Rosalba nel 1997 e da allora nonostante cambi di denominazione e via vai di sponsor Ravenna, ha dovuto barcamenarsi e fondersi per restare a galla.
Questa Challenge Cup vinta senza investimenti miliardari ma solo con la volontà di fare proprio il play off quinto posto e di giocare ogni gara europea al massimo, è un valore enorme che merita di essere sottolineato. Non è da tutti vincere al Pireo in un impianto come quello dell’Olympiakos.
Tanto di cappello alla Bunge Ravenna di oggi: ai suoi giovani tifosi abbiamo voluto ricordare che il DNA è prezioso, che quel Palasport ha un nome importante e che chi ha lasciato queste vestigia, indipendentemente dal giudizio morale che non mi compete e manco mi interessa, aveva una passione immensa che in qualche modo ha attecchito al terreno.