Di A.G
Quarant’anni di Omegna, da ventiquattro seduto sulle panchine del volley femminile. All’attivo zero partite disputate come giocatore, ma un’adolescenza tutta pane e pallavolo. Queste le generalità di Stefano Lavarini, allenatore che sta ottenendo ottimi risultati alla guida del Minas in Brasile. Due trionfi al Campionato Mineiro, una Champions sudamericana, una Copa Brasil e una finale al Mondiale per Club, senza considerare quanto di buono aveva già fatto in precedenza da capo allenatore di Bergamo: Lavarini è l’ennesima dimostrazione che gli italiani sanno allenare come nessuno al mondo.
Ai microfoni di Volley NEWS il coach piemontese si è raccontato tra passato, presente e futuro.
Quando ha deciso di intraprendere la carriera da allenatore?
“È una storia un po’ particolare. Avevo 15 anni e in quegli anni Omegna, la mia città natale, viveva il boom della pallavolo: non c’era ragazza che non la praticasse e, in mancanza di qualità calcistiche, anche alcuni maschietti cominciarono a seguire la squadra. Poi un giorno l’allenatore delle giovanili mi chiese di aiutarlo e io accettai, non sapevo ancora bene cosa avrei voluto diventare da grande ma la sua figura diventò di riferimento, volevo diventare come lui”.
Chi sono i suoi modelli?
“Cerco di prendere il meglio da tutti i miei colleghi. A me piace molto il lavoro dell’allenatore, quasi più della pallavolo stessa. Non essendo stato giocatore e non avendo un bagaglio di esperienza da dentro il campo, la mia formazione è stata esclusivamente in funzione del ruolo di coach. Perciò, ho sempre tenuto in grande considerazione il lavoro degli allenatori che mi è capitato di incontrare e conoscere, sono stato molto fortunato, ho potuto stare al fianco di alcuni tra i più grandi”.
Quale fattore ritiene sia più importante per le sue squadre: il lato tecnico e tattico o quello mentale e caratteriale?
“Sarebbe bene fare un mix di questi aspetti. Il lato mentale è assolutamente importante, ma da questo punto di vista non ho una particolare formazione professionale, se non l’esperienza sul campo nella gestione del gruppo. Da allenatore mi concentro prevalentemente sulla parte tecnico e tattica”.
Da Omegna a Bergamo, passando per Trecate, Chieri e Club Italia: cosa si porta dentro di queste esperienze?
“Sono state le tappe del mio percorso per arrivare a Bergamo, dove per la prima volta ho avuto la possibilità di essere capo allenatore di un club di alto livello. Queste avventure mi hanno permesso di crescere, fare esperienza e trovare esempi e amicizie importanti”.
Ora il Minas in Brasile. La sua esperienza conferma che il “made in Italy” è sinonimo di qualità e risultati importanti?
“La scuola italiana ci ha fornito gli strumenti per lavorare al meglio in ogni contesto: stiamo raccogliendo i frutti di tutto quello che abbiamo imparato e che abbiamo sviluppato culturalmente. Credo che per fare risultati però non sia sufficiente lavorare bene ma è necessario avere grandi giocatrici: spesso le grandi giocatrici fanno grandi gli allenatori”.
Recentemente ha vinto la Copa Brasil. Quali emozioni ha provato a vincere il quarto titolo da quando è alla guida del club di Belo Horizonte?
“Le emozioni sono sempre le stesse: tutte le volte che mi è capitato di vincere qualche coppa ho provato sensazioni simili alla prima volta. Bisogna lavorare tanto per affermarsi in una competizione e non si sa mai se capiterà di nuovo. Uno degli aspetti più belli delle vittorie è la condivisione di un determinato percorso con la squadra e lo staff”.
La sua squadra attualmente occupa la prima posizione in campionato. Qual è il vostro obiettivo per la seconda parte della stagione?
“In questo momento non badiamo troppo alla classifica. Abbiamo fatto un girone di andata molto positivo. Pensavamo che le prime partite della stagione sarebbero state di preparazione, visto che dovevamo giocare il Mondiale per Club. In verità, abbiamo iniziato subito bene. Poi abbiamo semplicemente dato continuità allo stato di grazia acquisito. Il girone di ritorno è iniziato bene e dall’ultima partita siamo in testa alla classifica. La nostra consapevolezza è quella che alla fine conteranno solo i playoff: nelle restanti sette partite di regular season cercheremo di crescere ulteriormente per essere competitivi nel momento decisivo della stagione”.
È soddisfatto del secondo posto al Mondiale per Club?
“Sono molto contento del nostro risultato. È maturata una medaglia di argento dopo aver battuto l’Eczacibasi in semifinale e aver perso la finale contro il Vakifbank. Siamo andati in Cina senza un obiettivo particolare, anche se eravamo consapevoli che arrivare tra le prime quattro era alla nostra portata. Tenere testa in finale alla squadra più forte del mondo non è da tutti: non potevamo aspettarci di meglio”.
Quali sono le differenze nei modi di vivere la pallavolo tra Brasile e Italia?
“La scuola brasiliana tende a lavorare in maniera un poco diversa dalla nostra, anche in virtù delle caratteristiche delle giocatrici, che sono molto talentuose per i giochi sportivi e hanno maggiori abilità tecniche. In Brasile si passa parecchio tempo in palestra a lavorare sull’aspetto tecnico, in Italia diamo un accento in più alla tattica. Qui la pallavolo è molto sentita ed è uno sport con grande visibilità: la passione del popolo brasiliano è qualcosa di unico”.
Da qualche settimana ha assunto l’incarico di CT della Corea del Sud. Quali motivazioni l’hanno spinta ad accettare questa sfida?
“Faccio questo mestiere cercando di competere al più alto livello possibile ed ottenere risultati importanti. Il contesto delle nazionali mi ha sempre attratto e le competizioni internazionali sono un sogno che ho già vissuto quando lavoravo con le nazionali giovanili. Ho accettato questa sfida perché volevo continuare il mio processo di crescita professionale e lo stimolo di poter partecipare alle Olimpiadi è enorme”.
Le piacerebbe allenare la nazionale italiana in futuro?
“È logico che la nazionale abbia un valore speciale perché è legata alla mia identità di italiano. Al momento sono concentrato solo sul mio percorso di crescita con grande impegno e motivazione, la nazionale Italiana oggi ritengo abbia con Davide l’allenatore più adatto possibile al suo comando”.
Ha qualche sogno nel cassetto per il prosieguo della carriera da allenatore?
“Sto facendo proprio quello che mi piace fare e sogno semplicemente di poter continuare ad allenare per tanti anni nei migliori campionati e nelle competizioni internazionali. Per la prossima stagione non ho preclusioni particolari per rimanere in Brasile o tornare in Europa: sono guidato dalla voglia di competere al più alto livello possibile”.