Di Redazione
In questa stagione più che mai, la Superlega vedrà scendere in campo campioni di livello assoluto, per lo più cubani! E se ne calcio ci sono Messi e Ronaldo, nella pallavolo c’è lui, il giocatore più forte e pagato al mondo: Wilfredo Leon, che si racconta così al “Corriere della Sera”.
Colui che è definito il Messi della pallavolo ha un trucco per battere l’afa feroce del palasport di Perugia, dove ha appena terminato di allenarsi: «Sali sulla mia auto, c’è l’aria condizionata: mi intervisti lì». Grande idea quella di Wilfredo Leon, il cubano-polacco che non vediamo nel Mondiale («Con la Polonia potrò giocare solo dal 2019») ma che è la stella attesa del prossimo campionato italiano. Wilfredo, schiacciatore che buca pavimenti, ha vissuto parecchio nell’Est dell’Europa: di quel mondo ha assorbito una sorta di disciplina. Sua mamma gli ha insegnato a giocare a volley, lui ha aggiunto il talento: nel 2010 a Roma, ancora minorenne, vinceva l’argento iridato; e con i russi di Kazan ha fatto man bassa di titoli. In pratica, è un fenomeno.
Si sente il Messi del volley? «Non ho quel concetto nella testa. Ma sono felice che molti mi paragonino a lui o a Ronaldo: vuol dire che il lavoro paga».
È sorpreso di essere tanto popolare ad appena 25 anni? «Sono sempre stato un passo oltre il livello normale di un giocatore. Semmai è sorprendente che alla mia età abbia vinto quasi tutto. Ma non sono soddisfatto: voglio al più presto un oro al Mondiale e una medaglia olimpica».
È vero che chiederà il porto d’armi per il suo braccio? (risata) «Credo di sì: altrimenti mi impediranno di usarlo…».
Lei è il pallavolista più pagato al mondo. Però nel calcio o nella Nba guadagnerebbe molto di più. «Il denaro non è fondamentale. E più importante ottenere risultati che siano il riflesso della tua personalità».
Cuba diventerà capitalista? «Tanti lo pensavano, ma continuiamo a essere lo stesso Paese. La situazione attuale mi va bene, però non mi disturberebbe nemmeno se le cose cambiassero. Mi aggiorno con le notizie che riguardano Cuba, ma non vado oltre. E la politica non mi piace».
Perché ha lasciato la Nazionale nel 2013? «Per varie ragioni. Per alcuni può essere stato uno choc, ma puoi capire la scelta solo se passi certe esperienze. Io e altri giocatori le abbiamo vissute. Ma prima di andarmene ho giocato per Cuba a tutti i livelli. E ho vinto».
Diceva Alberto Juantorena, ex campionissimo dell’atletica e zio di Osmany, stella dell’Italia: «L’orgoglio di Cuba è l’aver resistito alle difficoltà». «L’amor proprio identifica i cubani. Se Alberto intende questo, sono d’accordo. Siamo un Paese che, per fortuna o per disgrazia, è piccolo. Ma nelle avversità sappiamo essere un Paese grande».
L’Italia vive il fenomeno dei migranti. È simile a quanto capitava agli Usa quando i «balseros» lasciavano Cuba? «La fuga da Cuba fu una conseguenza della caduta dell’Urss. Il caso che riguarda l’Italia e l’Europa è diverso: chi cerca di sbarcare, scappa da guerre e persecuzioni».
Eccoci alla Polonia. «Il fatto di non poter stare a lungo con la mia ragazza è stato alla base dell’addio a Cuba. In Polonia ho trovato una moglie e mia figlia è polacca. Oggi vedo un Paese di grande cultura, stabile e integrato nell’Europa. Prima vivevo in un quartiere vecchio di Varsavia, oltre l’ex muro del ghetto: ora è tutto rinnovato».
Juantorena potrebbe non giocare contro Cuba, per onorare le sue radici. Lei lo farebbe? «No. Rispetto Osmany, ma se decido di giocare per un Paese, allora devo poter giocare contro tutti».
Che cosa ha fatto di speciale Perugia per convincerla? «Tutto è nato da un contatto con il presidente Sirci: è stato sincero e ha usato parole semplici. II club ha poi dimostrato di saper vincere. Io sono qui per ribadirlo».
Civitanova ha aggiunto a Juantorena altri due assi di natali cubani, Simon e Leal. È pronto al super-derby? «Ciascuno difenderà il proprio territorio: c’entrano lo sport e la professionalità. A partita terminata, però, sarà un’altra cosa».
È vero che il suo hobby è la pesca? «Secondo mia moglie ho troppi hobby… Sì, amo pescare: non è una perdita di tempo, è un sistema per estraniarti. Ma mi piace anche il tiro a segno: aiuta a sua volta a rilassarmi».
Potente, scattante: lei è il giaguaro della rete? «Mi riconosco di più nell’elefante: è lento, ma è solido; ed è prestante e implacabile. Poi è paziente: mia madre mi ha sempre detto che la pazienza è la virtù dei forti».
Un Mondiale senza Leon è un Mondiale vero? «Sì: tanti campioni gli danno valore. Lo vincerà la Russia? Potrebbe non essere così. E l’Italia sarà prima o seconda».
Il volley è potenza, astuzia o allegria? «Tutte e tre le cose. Se non hai potenza, non vai lontano. Ma ci vuole anche la testa e se non usi l’astuzia, sei prevedibile. L’allegria, infine, ti dà una marcia in più».