Era il 13 novembre 2016. Gian Luca Pasini, giornalista assai più capace di chi scrive quest’intervista, documentò con dovizia di video e testimonianze (e analisi che ogni buon consumatore di pallavolo dovrebbe leggere) il cosiddetto “effetto Zaytsev” post Olimpiade.
Ivan si trovava a Monza quella domenica, il palazzetto si svuotò dopo più di un’ora e mezza dalla fine della partita e Zaytsev appose la firma su oltre settecento oggetti, tra fogli, maglie, libri, diari appartenute a ragazzi e ragazze accorsi all’Arena di Viale Stucchi solo per lui. Era un periodo di enorme fulgore per un atleta della pallavolo e personalmente, non me ne voglia nessuno, non ne ricordo altri di tale intensità.
Zaytsev non era solo il simbolo della pallavolo italiana, era la popstar che la pallavolo cercava da anni senza successo. Carta stampata, trasmissioni televisive, personaggi pubblici macinavano settimanalmente contenuti a tema Ivan. Arriverà il momento in cui deciderò di aprire il cassetto dei ricordi di quegli anni, più per la smania di esserne il narratore che per il capriccio del protagonista di ammettere di essere stato il più grande personaggio della pallavolo degli ultimi vent’anni, ma non sarà questa l’occasione.
Siamo qui perché quasi otto anni dopo quel bagno di folla, Zaytsev all’odierna OpiquadArena ritorna, pare per l’ultima stagione della sua carriera, ma non da avversario. Solo pochi giorni fa infatti, la Vero Volley Monza ha annunciato il suo ingaggio, chiudendo un roster che ha personaggi come lo Zar o l’americano Averill solo per dirne due, che in quanto a comunicazione possono risultare davvero l’oggetto dell’interesse di questo mondo.
“L’aspetto migliore di quel periodo è stato quello di vedere i palazzetti pieni, i ragazzi festanti che venivano a seguire la pallavolo con occhi diversi, e seguivano questo gruppo di ragazzi dei quali facevo parte anche io che avevano ottenuto un argento olimpico, un risultato storico”.
Seguivano lei in primis, travolto da una popolarità senza precedenti. A quasi otto anni di distanza sente la nostalgia di quel momento travolgente o va bene così?
“Va bene così, compreso il ricambio generazionale inevitabile. Ci sono ragazzi nuovi, personaggi altrettanto nuovi che ora possono emergere. Per me è stato molto divertente, se vogliamo anche stressante dal punto di vista organizzativo, ma certamente molto gratificante. La curiosità, l’affetto dei tifosi ti ripaga tanto. Se parliamo invece delle occasioni che mi sono capitate, me le sono godute”.
Si diceva nell’ambiente che lei non sapesse dire mai di no. Non è da tutti.
“Ho cercato di gestire il momento con molta empatia. Penso che se andassi ad un concerto di Vasco Rossi, cercherei in tutti i modi di avere magari la foto o l’autografo. Se potevo fermarmi a fare lo stesso nel mio piccolo, l’ho sempre fatto molto volentieri”.
Perché oggi Ivan Zaytsev veste la maglia della Vero Volley Monza?
“Perché un sabato sera il DG Claudio Bonati mi ha chiamato chiedendomi di venire a dare una mano qui. Mi ha detto che serviva qualità e supportare i ragazzi in questa preparazione che è stata un po’ complessa perché c’erano diversi atleti incerottati. Ho accettato con molto entusiasmo e devo anche ringraziare Alessandra Marzari per avermi dato quest’opportunità”.
Paola Egonu a Milano, Ivan Zaytsev a Monza. I due atleti più esposti della pallavolo sotto lo stesso tetto del Consorzio. Non è un caso. Possiamo dire che siete, nel suo caso, che è un atleta che ha saputo sempre condurre battaglie negli anni in cui la popolarità le ha dato anche la cassa di risonanza giusta?
“L’ho fatto senza mai pensare a ciò che ritornava nelle mie tasche. Ho sempre saputo che responsabilità significhi avere delle conseguenze per ogni azione intrapresa e ho scelto con molta cura le battaglie da affrontare”.
Mi dica quella di cui va più fiero.
“La battaglia che tutti ricordano come Scarpegate, ossia quella in cui ho combattuto affinché ognuno di noi in nazionale potesse indossare le scarpe più adatte. Fino a pochi anni fa non era così e il fatto che oggi ognuno di loro può scegliere le calzature da indossare mi rende molto orgoglioso”.
A Monza ci è arrivato con lo stesso spirito battagliero di sempre?
“Arrivo qui con tanta voglia di lavorare, con la voglia di dare una mano a una squadra che per ora è un po’ indietro ma che nel gioco può esprimere tantissima qualità e lo si è visto proprio sabato nella semifinale di Supercoppa. Arrivo con la voglia di mettere entusiasmo ed energia nel progetto”.
Si dice che sia la sua ultima stagione. Conferma?
“Molto probabile. C’è questo progetto fighissimo che avrà visto, ossia quello di qualificarsi per le Olimpiadi con Daniele Lupo e sotto la guida di Marco Solustri. Dobbiamo impegnarci al massimo per ottenere un traguardo che finora hanno ottenuto in pochissimi. Questo implica un focus particolare sul progetto con cui l’indoor per tutto l’anno non combacia perfettamente”.
C’è qualcosa che potrebbe farla ritornare sui suoi passi?
“(ride n.d.r.) Non c’è mai niente di definitivo nella vita, ma la convinzione di proseguire con Daniele è davvero fortissima”.
Non si vedeva un Lupo così da un po’. La cura Zaytsev ha fatto bene.
“Mi hanno ringraziato molti amici per aver riacceso quell’entusiasmo negli occhi di Daniele, che arrivava dalla delusione per la mancata qualificazione olimpica. Ci conosciamo da quando siamo ragazzini, abbiamo gli stessi valori. Anche per me è stato importante ritrovarlo. Mi creda, io tengo molto a questo progetto. Certo, non sarà facile, perché da quando nel 2008 giocavo con Giorgio Domenghini il mio primo campionato italiano, questo sport ha avuto una bella evoluzione. La strada è lunga, ma non voglio vivere con il rimorso per non averci provato”.
Anni fa scrisse che una volta concluso il suo percorso nella pallavolo, voleva aprire un ristorante. Direi che ha rivisto il suo progetto di vita extralavorativo.
“Direi di sì (ride n.d.r). In quel periodo volevo qualcosa di mio e di auto gestibile. Adesso sono felice di poter coltivare questa passione, magari proseguire con la Ivan Zaytsev Academy assieme ai miei amici Biribanti e Baranowicz, un’avventura che ha già dato numeri importanti e chissà che non capisca che la strada del patentino da allenatore non sia quella giusta! Ovviamente il pensiero più extralavorativo è quello di dedicarmi alla famiglia, per cui ringrazio sempre mia moglie Ashling per il lavoro che ha fatto e fa ogni giorno”.
Ivan, è felice in questo momento?
“Sì. Sicuramente sì. Mi stavo spegnendo anche io come Daniele lo scorso anno per via di una routine che non amavo più. Non ero più al centro del progetto pallavolistico e le solite dinamiche mi avevano fatto passare l’entusiasmo. Ero un criceto che girava la ruota senza emozione. Ora sono molto carico e pronto ad accogliere tutte le opportunità del futuro prossimo”.
Di Roberto Zucca